Borgo Rossini stories

Il quartiere si racconta attraverso le voci delle persone

La fine del mondo

di Martina Di Nolfo

Adelaide sbirciava nella sera
il vestito bianco, lungo, prezioso
dell’Atelier da sposa
fra gli esagoni metallici delle serrande
‘che passeggiando ne era rimasta rapita.

A vedersi era la fine del mondo
e lo era ancora di più quando stava
con Guglielmo a sognarlo,
che per racimolare qualche soldo
all’estero, con il suo schelmo,
se n’era andato, non avrebbe voluto
lui così: toccare il fondo.

Prima di salpare, seppur con una
àncora incerta, il ligure marinaio
ad Adelaide un sms aveva scritto:
«mettiamo su un bel caffè?»
«facciamo da te o da me?», chiedeva lei.
E poi il tempo incastrati
li aveva, che bastardo!
Gugliemo verso Genova s’imbarcò,
e il bardo della sua amata diventò.

I giorni passavano senza un perché.
Nei mesi ci si ubriacava alle Panche
di Spritz e di tè. Sulle panchine
della piazzetta fra uno sbuffo, un duetto
di qualche randagio animaletto,
Guglielmo le mandava qualche sonetto.

I locali rimanevano aperti
fra il chiacchiericcio spiccio della gente,
di viaggi programmati si sperava
e di politica si litigava.
Adelaide si abbandonava dentro
il profumo di zenzero e cannella
dei dolci che Maria le preparava
e le serviva, di frequente, in torteria.
E meno male
che studiava in facoltà,
sebbene le crisi d’identità,
nella libreria di Rocco, per fortuna,
tante erano da leggere le novità.

E meno male, meno male, meno
male al cubo, che sempre aperta era la
Lumeria, il faro della notte dove
col cuore potevi fare a botte!
Adelaide sperava tanto un giorno,
con Guglielmo, di candido vestirsi
e quando lo diceva
Lucio la incoraggiava dicendo
che mai bisogna diventare tristi.

Per il genetliaco di Adelaide,
Guglielmo tornò in via Reggio 8,
quel numero sovente
lo giocava al Superenalotto
«porta fortuna»,
ripeteva animatamente.

Sul balcone di Adelaide era giunta
fra i tendoni tirati,
l’amorosa stagione.
Un timido raggio di sole
si insinuava delicato e leggero
dalla finestra come uno straniero
e baciava i fiori sbocciati, e sopra
quel penultimo piano
si intravedeva il Caffè Rossini,
un tempo gran ritrovo
della studentesca contestazione,
oggi, amico di sbronze, di Negroni
e di vini, dove per amore, sì
si diventava vati ghibellini.

«Ti ho citofonato, non hai sentito!»
Guglielmo d’amore
stordito, gridava in mezzo alla via.
«Finalmente sei arrivato. Dai, sali»
sorrideva e piangeva
lei, quasi fosse un fiore di rugiada.
«No, scendi tu Adelaide,
dobbiamo festeggiare, vita mia.
Ti porto a mangiare in trattoria».
«Cosa, se non possiamo avere il mare?»
«Abbiamo il fiume Dora
che è anche meglio, dai
che almeno ci godiamo
il tramonto ancora per ‘na mêz’ôa ».

Ed è vicino al ponte della Dora
che sarebbe nata, quella sera,
una splendida Aurora.
Adelaide liberò
il cuore dalla galera fra i baci
e sospiri che la notte assapora.

Presto l’estate sarebbe giunta
e con essa, su un vecchio parco del re,
in coda non solo per bere un caffè:
gente che viene, gente che va da Nord
al Sud, in quello che nel quartiere
il picciotto della granita
e del gelato, è!

Giunse il gran giorno in cui
Adelaide quel candido vestito
lungo e prezioso, indossò.
« Sei la fine del mondo »
le disse Guglielmo, tutto d’un fiato
e verso la chiesa di lungo Siena
le cinse la nuda schiena. Quei due
si incamminarono
scrivendo all’unisono
la parola fine, in un amore profondo
che nessuno mai più divise.