Borgo Rossini stories

Il quartiere si racconta attraverso le voci delle persone

Le gallette di via Modena

di Alberto Bozzolan

16 maggio 1976: un Ape Piaggio attraversa via Modena. Sopra un gruppo di ragazzi capelloni che saltano sul cassone. Bandiere granata ovunque. È domenica pomeriggio, Marco abita in via Parma. Famiglia di operai. Il padre lavora alla Pastore, la fabbrica di serrande di via Perugia. Il fratello maggiore al “Gallettificio” di via Modena. I bambini giocano nei cortili o per la via emulando i loro idoli: Pulici e Graziani tra i granata, Zoff e Bettega tra i bianconeri. Tutti si conoscono. Luciano, il barbiere, gobbo fin nel midollo, al mattino aveva detto a Marco che lo scudetto l’avrebbe vinto la Juve. Giacu, il “marghè”, invece non aveva dubbi: nessuno avrebbe impedito a Puliciclone di segnare il gol che avrebbe cucito il settimo scudetto sulle maglie granata. Enrico Ameri da Torino e Sandro Ciotti da Perugia tenevano tutti incollati alla radio ad ascoltare la radiocronaca di “Tutto il calcio minuto per minuto”.
Quando Ameri al 61′ chiese di intervenire per comunicare il gol di Pulici, tutti saltarono come pazzi e iniziarono i festeggiamenti. Giacu prese in giro Luciano. Le vie del borgo erano tutte colorate di granata. Marco saltò sull’Ape di Toni il carrozziere e insieme si diressero verso il centro a festeggiare.

20 giugno 1984, ultima notte trascorsa a casa prima di partire.
Notte caldissima, afosa, con quel fastidiosissimo ronzio di zanzare nelle orecchie. Pochi giorni prima il mio Toro allenato da Bersellini aveva perso la semifinale di Coppa Italia con la Roma mentre Bruce Springsteen mi teneva compagnia con la mia preferita Bobby Jean. Born in the USA era stata la mia colonna sonora per tutta la notte. L’ultima, prima di addentare quella cartolina azzurra, salire su quel treno in pieno solstizio d’estate, e affrontare l’anno di militare.
Lo prendo come un gioco, e come un gioco trovo tantissimi fratelli con cui giocare, tutti vestiti uguali, tutti mangiamo lo stesso cibo, tutti dormiamo nelle stesse camerate, tutti leggiamo gli stessi fumetti altamente culturali: il Tromba, il Camionista, Oltretomba. Fratelli con lo stesso taglio di capelli. Unica differenza l’accento che identifica la provenienza geografica, giusto per ricordarci che, nonostante tutto, arriviamo da luoghi diversi.

[La prima colazione la ricordo ancora oggi a distanza di 35 anni. Un pacchetto di gallette dure come la pietra, che non si scioglievano neanche nel latte bollente. Gallette rettangolari insapore, immangiabili. Le “vecchie” ci raccontavano che nei biscotti c’era del bromuro per bloccare sul nascere ogni istinto sessuale. Qualcuno ci disse che le producevano a Torino]

23 gennaio 1985: anche Marco addenta la sua cartolina e si avvia verso Asti. Arriva sei mesi dopo di me, nell’inverno rigidissimo di inizio 1985. Capita nella mia squadra. Con la sfacciataggine del ribelle, si era presentato in caserma con i capelli lunghissimi: una chioma folta e bionda che aveva fatto arrapare il barbiere della caserma. Ci accomunano due passioni: il Toro e la chitarra. Una mattina a colazione mi dice che quelle gallette le faceva suo fratello. L’avrei strozzato! Lui era abituato, perché ogni tanto il fratello ne portava qualche pacchetto a casa. Per una famiglia povera era manna dal cielo. Mi confida che la storia del bromuro era una balla colossale. Niente bromuro. Solo acqua, farina, burro e zucchero. Mi dice che non c’era niente di più genuino in quei biscotti. Da quel giorno ho iniziato ad apprezzare quelle gallette.

1° maggio 1990: alla manifestazione incontro Marco e suo fratello. In una bellissima giornata di sole ci abbracciamo e percorriamo insieme la strada del corteo e quella dei ricordi. Fino a quelle gallette. Mi dice che il Gallettificio aveva chiuso qualche anno prima e da allora Borgo Rossini aveva perso quell’aroma di biscotti che aleggiava nell’aria. Pranziamo in una piola di via Modena. Passiamo davanti a quel che resta del Gallettificio: rimango colpito dalla bellezza della struttura: un edificio industriale di meravigliosa “art nouveau”. Mi racconta che aveva quasi ottant’anni, sopravvissuta ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Era della “Società Anonima Torinese di Panificazione”. Un altro edificio abbandonato. Ci domandiamo cosa ne sarà di questa struttura. Se cadrà in mano agli speculatori, se verrà occupato dagli squatter. Lui avrebbe voluto una grande sala prove per i ragazzi del borgo. Con annessa biblioteca musicale. Sogna ragazzo, sogna. Chiudiamo gli occhi. Sentiamo il profumo delle gallette. Che suonano. Non ci svegliate…