Borgo Rossini stories

Il quartiere si racconta attraverso le voci delle persone

Lockdogdown

di Sara Fusera

Ok sì.. saranno le 22.15, 22.30 al massimo… è ora!

Giù dalla branda. Mi stiracchio, sbadiglio a tutta lingua, due leccate alla ciotola dell’acqua. Perché non è ancora vestita? Ha ancora su ciabatte e tuta… vabbè ma ora la fisso e… mi guarda… sorride, parola magica? Andiamo?! Si scende!

Odori famigliari del viale, con la terra secca e battuta, pochi filini di erba nuova, gli alberi che stanno velocemente tornando verdissimi, come sempre in questo periodo, lasciano cadere come pioggia, polvere gialla e semini pelosi e volanti che mi fanno starnutire.

Lei fuma e cammina lentamente, guardandosi un po’ i piedi e un po’ intorno, in un modo diverso da un po’. Vabbè io, con un doppio passo, accelero!

Ora si attraversa, ma non ci sono richiami, «Ferma! Aspetta». Silenzio assenso, via! Ecco il luogo preferito dal mio naso e dalla mia pancia, ma niente! Serranda sbarrata, nessun pezzettino di pizza o pezzetti di kebab distrattamente dimenticati da famelici avventori, niente mani amiche, che mi allungano un pezzetto di carne dal retro del banco, posto magico dal quale il cibo viene creato e distribuito. In questi 7 anni di convivenza ho imparato la porta giusta e le moine necessarie ed ottenuto il canale preferenziale! Quante merende e spuntini del tutto fuori dieta e orario.

Niente. E va be’, proseguiamo. Il mio naso, prima troppo distratto, mi fa notare un’altra cosa strana, odore forte di fiume, rumore di acqua corrente. Già da qui? È l’odore di quando fa tanto, troppo caldo e si scende sotto il ponte, a respirare sugli argini della Dora, con le zampe nella sabbia, ma la Dora è ancora lontana. Andiamoci, dai!

Piazzetta! Panchine e alberelli e odori e… neanche un piccolo umano nella piscina blu, nessuno che mi schiva all’ultimo secondo col monopattino, col pallone, nessun vecchino a mani dietro la schiena. Mamme e papà che creano quel chiacchiericcio pieno e festoso tra un rimprovero e l’altro alla colorata prole.

Boh, altro attraversamento! L’ultimo. Aspetto, niente, nessun comando. Vado? Vado! 

Pali. Fermata del bus con qualche pisciatina interessante e poi al Colonna si gira e… Cazzo! Mi blocco un attimo, stranita. La guardo, lei invece non sembra stupita, ma pare divertita dal mio disappunto. Sorride, ma odora di malinconia mista a rassegnazione, sospira, quante cose sa più di me. Ma mi sembra che tutte quelle consapevolezze la rendano appesantita, molto di più da qualche giorno a questa parte ora che ci penso.

Anzi ora che ci penso sono tante le cose diverse e cambiate da un po’ di tempo ad oggi.

Ah, che mi frega! Alberelli miei! Nostri! Ci ricordiamo quelli di prima, spazzati via da una tempesta di vento e pioggia assurda, che faceva tremare le ginocchia anche quando eravamo chiuse a casa. E poi la terra smossa e la segatura dei vecchi tronchi segati, che avevano regalato dei meravigliosi rametti da sgranocchiare durante le lunghe serate passate qui. E ora i piccoli nuovi alberelli, eccoli! Controlliamo quanti sono sopravvissuti all’inverno, foglie verdi per alcuni. No, quello è andato.

Ma la nostra piazza è troppo vuota e silenziosa, troppo. 

Mi fermo e la cerco con lo sguardo, è sempre seduta lì, solita panchina. Ma sola, dove sono tutti? Le due grattate alla schiena? Le bricioline di patatine e di cene consumate al volo gentilmente offerte? I miei amici? Tutta quella strana gente urlante e festante? 

Lei fuma e realizzo il silenzio, in un secondo, solo il rumore dell’acqua del Toret, che si confonde con lo scrosciare decisamente più forte del fiume.

La guardo, mi guarda, il suo sguardo è carico, strano, bruco un po’ d’erbetta verde e fresca per fare la vaga. Con la coda dell’occhio continuo a guardarla.

Lo capisco, non c’è nulla che ci trattiene stasera, anzi, mentre di solito ero io ad aspettarla, mentre la guardavo ridere e parlare. Quanto parlavano! E mi mettevo seduta, sperando fosse finalmente giunta l’ora di accompagnarla verso casa. Ora è come se si fossero invertiti i ruoli, lì seduta, a chiedermi silenziosamente di portarla a casa, c’è lei.

E va bene dai, andiamo. Cammino più lenta anche io, sulla via del ritorno verso la nostra comoda cuccia, al suo fianco, come sempre, e lei al mio.