Porta Palazzo stories

Porta Palazzo si racconta attraverso le voci delle persone

Cabu Cabu 011

di Roberto Ariagno, Fabrizio Daffara, Alberto Dessimone e Marco Guarena

 

Ernesto è un torinese doc, nato e vissuto tra Santa Rita e Mirafiori. Più vicino agli 80 che ai 70, resta arzillo e blagheur come sempre: quando vede una signora (per lui sono tutte madamin) si fa sotto, comincia a intortarla, si offre di portare la spesa e poi magari da cosa nasce cosa. Con gli amici millanta storie improbabili, ma negli anni giusti girava davvero in spider e viaggiava per lavoro, sempre vago nei contenuti, alludendo a incontri da favola in Costa Azzurra e, ça va sans dire, notti eroiche.
Per lui Torino rimane il paesone cantato da Farassino, perso per sempre dopo che sono arrivati cui là, fatti venire da Giuanin lamiera, che urlano, tengono la porta aperta che si sente odore di fritto e cercano invano di parlare in piemontese.

Un giorno mentre va a comprare la verdura a Porta Pila, gli occhi su un sollecito di pagamento, perché lui la bella vita l’ha fatta, che diau, e adesso tre quarti di pensione servono a pagare i debiti arretrati, non si accorge che arriva una macchina, lui è sulle strisce ma quella non si ferma e finisce che lo prende.
Mamadou inchioda, si precipita fuori con le mani nei capelli: il vecchio è lì a terra, lui proprio non l’ha visto, guardava una ragazza bellissima che andava solenne come una pantera con un mezzo sorriso, e adesso arriva di corsa senza sorriso e gli grida di aiutarla a tirare su quel signore che in fondo forse è anche un po’ colpa sua…
Lei è Aaida, nera come Mamadou, e quando Ernesto si riprende e si vede circondato di visi scuri crede di essere in un incubo: prima ci toccano i napuli, e adesso tutti sti moru!
Lo caricano in macchina per portarlo al pronto soccorso, ma lui mica si fida, sta sulle sue mentre cercano di farlo parlare. Venderà cara la pelle, da giovane tirava di pugilato!

Mamadou è un cabu cabu, quei tassisti abusivi che si trovano in tante città, portano in giro neri e nordafricani per pochi euro, di solito stanno a Porta Palazzo sull’angolo di corso Regina, verso il Cottolengo. Viene dal Senegal e da qualche anno vive a Torino in attesa di meglio. Aaida invece è italiana, i suoi abitano alla Crocetta e l’hanno adottata, ora studia Giurisprudenza e a Porta Palazzo viene a comprare il sapone di Marsiglia e le lenticchie decorticate. L’incontro (o scontro) che li ha coinvolti, nel bene e nel male cambierà le loro vite e soprattutto il loro modo di vedere le cose e le persone.

Questa non è una storia vera, ma lo sono le donne e gli uomini che l’hanno ispirata. E fin dall’inizio è stato chiaro che si poteva cominciare soltanto qui, a Porta Palazzo, perché a Torino questo è il posto dove succedono le cose. Un giorno, dopo il mercato, abbiamo visto due bambini che giravano in bici e ridevano. C’erano ancora le casse a terra, era il momento in cui tanti vengono a prendere la frutta e la verdura un po’ ammaccata che resta lì (e vuoi mica buttarla via?), prima che la piazza venga pulita. Quei bambini avevano la pelle un po’ più scura di noi, ma si vedeva benissimo che erano a casa, perché si è a casa dove si vive, si lavora, si mangia, si fatica, si gioca, si fa l’amore. Abbiamo pensato che quei bambini fossero più torinesi di noi, nati qui, che magari non sapremmo neanche dove andare e cosa fare se ci trovassimo senza un lavoro o un tetto, chissà.

Sarà ovvio, ma ci siamo detti che la città cambia perché cambiano le persone che la abitano e la fanno esistere, ma anche che la città cambia le persone perché ha il suo carattere, la sua storia. Così l’abbiamo scritto e raccontato in un cortometraggio dal titolo Cabu Cabu 011, uscito nel 2019, realizzato da alcuni soci della cooperativa Esserci, che a Torino lavora da più di 30 anni, e vicino a Porta Palazzo gestisce una residenza temporanea.

Una cosa bella è che mentre ci chiedevamo se girare proprio a Porta Palazzo, Matteo Silvan, regista torinese della provincia di Treviso, che in zona ci abita e conosce più piole di noi, ha insistito per farlo qui. Lui è uno di quelli che si butta e parla con tutti, non ha il riserbo timorato dei turineis, così abbiamo chiesto i permessi e un giovedì di giugno del 2018 abbiamo girato sull’angolo dei cabu cabu, mentre le signore cinesi passavano imperturbabili in mezzo al set e gli anziani sedevano all’ombra del palazzo di vetro e metallo. In più, a dare corpo a Mamadou, è stato Muso, al secolo Jacob Bamba, torinese d’Africa e una delle anime di Barriera; lui ha dato vita a quello che era solo un personaggio sulla carta. Ernesto, invece, non poteva che essere torinese: grazie all’attore Gianni Bissaca, ne è venuto fuori con più leggerezza e simpatia.

Ora vogliamo continuare a raccontare le storie di Mamadou e Ernesto, di come questi due, così diversi andranno insieme per la città e finiranno per volersi bene, anche se Ernesto continuerà a chiamarlo moru; e cosa succederà a una ragazza come Aaida, che forse non si sente ancora italiana ma non più africana, come tanti altri che girano per la città mentre cambiano insieme a lei, perché le storie continuano sempre, ogni volta che ci si incontra.

Wikimedia Commons/Progetto artistico Opera Viva in piazza Bottesini