Borgo Rossini stories

Il quartiere si racconta attraverso le voci delle persone

Un crocevia cosmopolita

di Paola Schellenbaum

 

La prima volta che sono venuta in Borgo Rossini cercavo la libreria di Rocco. Abbiamo più volte scherzato in seguito che, detta così, sembrava un luogo di ritrovo o una pizzeria. Il nome della libreria è Il Ponte sulla Dora ma dire «ci vediamo da Rocco» è sempre stato più semplice, di quella semplicità che fa amare la vita.

Attraversato il ponte sul fiume Dora – che a me ricorda l’infanzia – mi sono ritrovata in un altro mondo, come se quel ponte fosse davvero un passaggio dal rumore del centro città, con i suoi viali trafficati e i suoi portici affollati, a un quartiere – un borgo appunto – tranquillo dove la vita scorre più lenta. Si passa da un negozio all’altro, anche solo per fare due chiacchiere, o si beve il tè nel pomeriggio, e più tardi un bicchiere di vino seduti al tavolino di uno dei locali del quartiere.

È un ricordo vivido, in questo tempo sospeso in cui non possiamo scendere al borgo e siamo costretti in casa. Alcuni dettagli appaiono più intensi e preziosi, come a cercarli in quel deposito di memoria che riserva sempre delle sorprese. La libreria è un luogo di sorprese, vuoi perché ci capiti per caso, vuoi perché talvolta vi sono eventi di cui non sapevi l’esistenza e dunque ti fermi. Quante volte mi è capitato di scoprire un libro perché in quel momento veniva presentato.

Quel giorno ci misi un po’ a trovare la libreria e a vedere l’insegna che adesso invece riconosco al volo. Passai probabilmente dritta e feci una passeggiata sul viale alberato, che parte dalla piazzetta e si estende lungo e dritto. Era autunno, mi pare. Le foglie secche per terra formavano un tappeto di cui si sentiva lo scricchiolare sotto i piedi. Passo dopo passo, era come camminare nel bosco, in campagna o in montagna. Me lo ricordo perché a me piace camminare in campagna o in montagna, e in questi giorni di reclusione forzata per la crisi pandemica – di lockdown come si dice in inglese, un’espressione che rende bene il senso di frustrazione – mi manca il camminare nel bosco.

Ecco, quella prima volta al Borgo Rossini fu una passeggiata che non si dimentica. Soprattutto perché quando trovai la libreria rimasi colpita dal calore che emanava, dalla luce naturale che vi entrava a rischiarare le copertine dei libri, esposti sui tavoli per leggerne i titoli e per apprezzarne l’idea grafica. Mi è sempre piaciuto il pensiero che le copertine possano parlare e attirare a sé le persone. Un gioco che talvolta funziona perché a scegliere non è sempre la testa. Certo, se il libro è di un nome conosciuto allora l’autore, o il titolo, si impone, ma se invece la copertina è particolarmente bella ed essenziale è quella che colpisce a prima vista. Anche quando a porgere il libro è il libraio.

L’accoglienza che si riceve in libreria è sempre festosa, come capita nei negozi di provincia, ma qui siamo in città, vicinissimi al centro eppur distanti, al di là del ponte, e dunque il mix tra senso di comunità e cosmopolitismo è accentuato. Confini porosi e labili che vengono attraversati da tutti, indiscriminatamente. Qui ognuno si sente a casa perché ciò che unisce sono i libri e le letture ad alta voce, talvolta con musica, durante le presentazioni. Come quella volta in cui Nicola Lagioia ci raccontò come era diventato lettore, o come quella volta in cui l’editore Laterza arrivò trafelato per parlarci di migrazioni e di noi e loro, di come ci mescoliamo con gli stranieri nelle città, e forse ci comprendiamo pur parlando lingue diverse. È la magia dell’incontro.

Già, quando potremo tornare a stare seduti sulla panchetta a raccontare i libri con autori, traduttori e editori? Non ci è dato di sapere, per ora possiamo solo recuperare nella memoria gli incontri pienamente vissuti, il gioco di sguardi che rendono la vita più vera, le battute scherzose che la allietano e le idee nascenti che poi si fanno strada.

E di strada “le idee in movimento” della libreria ne hanno fatta tanta, da Borgo Rossini al mare fino a Noli in Liguria, per poi risalire in montagna, tornante dopo tornante, fino a Prali. E per rivivere, ogni estate durante Pralibro, tra i boschi, ciò che Mario Soldati scrisse tanti anni fa: Pensando a Perrero, a Praly, a Ghigo, ricordando le ebbrezze alpine della mia adolescenza, i pomeriggi trascorsi bocconi sulle creste aride e ventose, vicina, tra i detriti schistosi, la genzianella di cobalto e lontane, nel medesimo sguardo, le verdi vallate rigate di argentei torrenti, le cime di Francia, i ghiacciai del Pelvoux; quel sole bruciante, quel vento violento e gelido; quel torpore, quella felicità. (…) Ma non sapevo ancora che l’unico vero peccato è di ignorare o dimenticare ciò che può renderci, ognuno, felici.
(America primo amore, Sellerio, seconda edizione, 2014, p. 249-250).