Barriera stories

Barriera di Milano si racconta attraverso le voci delle persone

Educazione di Barriera

di Marco Ranieri

 

La mia Barriera di Milano è quella della scuola elementare Gabelli nella seconda metà degli anni ’80. Via Santhià 25. Una classe di 24 bambini di cui uno solo con i genitori piemontesi. Gli altri si chiamavano Agatino, Cosimo, Pasquale, ed erano figli dell’immigrazione, come me. Era la scuola di maestre amorevoli e competenti che sapevano trasmettere la curiosità per la scoperta, il rispetto per gli altri, il valore dello studio armate solamente di passione, lavagna luminosa (a volte) e “fotocopie” fatte con il ciclostile. Era la scuola della gita a Loano e dell’Estate Ragazzi in cui ci portavano in piscina alla Sempione o – come a fare un viaggio in un posto lontano, Cavallermaggiore in provincia di Cuneo – alle “Cupole”.

Appena fuori dalla scuola, luogo centrale della mia vita di bambino durante la settimana, un altro punto focale, ma questa volta del sabato: il mercato di piazza Foroni. Con i miei genitori andavamo a comprare i taralli pugliesi e la mozzarella di bufala campana. Lì vicino, in via Baltea, c’era anche un circolo del PCI (ancora in attività) intitolato a Lenin. Solo molti anni più tardi capii cos’era. Ai tempi semplicemente mi incuriosiva vedere quello che a me sembrava un negozio avere il giornale (Il Manifesto o l’Unità) appiccicato ai vetri in modo da farlo leggere ai passanti. La domenica invece il centro di gravità era la chiesa “della Pace” di corso Giulio Cesare, dove in settimana si faceva anche il catechismo. Barriera un po’ come la Brescello di Peppone e don Camillo.

Quando in un articolo del 2017 sul New Your Times ho letto “the immigrant and working-class Barriera di Milano”, mi sembrava parlasse della mia Barriera di trenta anni prima. Quando Repubblica, per il suo reportage “Prof in trincea”, ha filmato la ”Scuola media Norberto Bobbio. Barriera di Milano, quartiere della perferia nord torinese, zona ad alto tasso di immigrazione” ho rivisto in video la mia scuola media Baretti (sempre via Santhià, ma questa volta al 76) che nel frattempo ha cambiato nome per elogiare il grande filosofo torinese. Ai tempi, anche lì una sparuta minoranza di “figli di piemontesi”. L’atmosfera era però già molto diversa rispetto alle elementari. Primi anni dell’adolescenza, aggressività per mascherare la fragilità. Ricordo che spesso si alzavano le mani, ma a volte ho visto anche coltelli. Quello che ora si chiamerebbe “contesto socio-economico svantaggiato” per noi si chiamava “vita”.

L’ultima scuola di Barriera che mi ha formato è stato il Liceo Einstein, un po’ più in là questa volta, in via Pacini. “Okkupazioni” e primi incontri con la politica di sinistra, e con futuri politici tuttora in carica. Da lì poi – prendendo il 57 o il 4 – l’Università (dove il rapporto figli di piemontesi/figli di meridionali si era del tutto capovolto) ed il salto all’estero, che mi ha portato a vivere in sei Paesi diversi. L’ultimo dei quali è quello in cui mia figlia inizierà le elementari, che nel suo caso saranno in francese ed olandese.

Per parafrasare un famoso scrittore “puoi portare il ragazzo fuori da Barriera, ma non puoi portare la Barriera fuori dal ragazzo”. Personalmente porto con me i lati positivi della Barriera della mia infanzia: il valore attribuito alla famiglia, agli amici e al lavorare sodo per migliorare la propria vita, il pragmatismo, ed anche una certa iniziale diffidenza verso le cose sconosciute, che in alcune occasioni mi è stata molto utile. E sicuramente ho fatto mia la frase di Nelson Mandela ora scritta sulla targa all’ingresso della scuola Gabelli: “L’educazione è l’arma più potente che si possa usare per cambiare il mondo”.
Un grande grazie a chi la rende fruibile.