Barriera stories

Barriera di Milano si racconta attraverso le voci delle persone

Comunisti di Barriera

di Laura Tori

 

Ho 58 anni e sono nata in Barriera di Milano. La famiglia da parte di mamma ha sempre vissuto in Barriera a partire dai miei bisnonni, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, quando da contadini divennero operai e si trasferirono in città. Uno dei miei bisnonni partecipò all’occupazione delle fabbriche degli anni ‘20 e poco dopo si iscrisse al Partito Comunista: tutta la famiglia di mia mamma è sempre stata comunista. Mio nonno materno partecipò alla Resistenza, diventando sappista e scontando anche qualche mese di detenzione; a lui Antonio Banfo scrisse l’ultima lettera prima di essere ucciso dai fascisti.

La famiglia di mio papà invece arriva dalla Toscana e si trasferì a Torino negli Anni Venti per poi sfollare in Toscana durante la guerra; erano di Altopascio e gestivano ristoranti, ma mio papà scelse di fare il tipografo e dal matrimonio nel 1954 i miei genitori hanno abitato in Barriera, da dove non si sono mai spostati.

Il matrimonio si svolse con rito esclusivamente civile (negli anni Cinquanta non era abituale neanche in Barriera) perché entrambi non credenti e comunisti: il rinfresco si svolse nel nascituro Circolo Risorgimento in via Poggio. Il Circolo, che c’è ancora e sta vivendo una nuova vita, era nato come luogo di incontro e mutuo soccorso per le famiglie operaie nell’immediato dopoguerra, quando c’era una voglia di ballare che faceva luce, come dice Francesco Guccini, e grazie a sottoscrizioni popolari raccolte attraverso il PCI stava realizzando una sede autonoma e indipendente, quella che c’è ancora adesso.
Il nonno partigiano, mio papà e mia mamma lavoravano alla Nebiolo in via Bologna dove svolgevano attività sindacale, quindi tutta la loro vita era in Barriera, poi licenziamenti per rappresaglia e nascita della figlia (io) li hanno costretti a cambiare.

Mentre entrambi i miei nonni paterni erano cuochi, mia nonna materna non amava cucinare ma era una sarta meravigliosa che aveva imparato il mestiere da ragazzina presso l’atelier La merveilleuse: sono cresciuta nella sua cucina con il rumore della macchina da cucire a pedale di sottofondo e nel retro del negozio di stoffa che mia mamma aveva deciso di prendere all’inizio degli anni ‘60 in corso Vercelli. Di quegli anni ricordo anche i giochi in un cortile di cemento circondato da garage con un solo albero al centro, ma quante corse in bicicletta, quanti nascondini con i pattini a rotelle ai piedi, quanti “stick” comperati nel negozietto della tota appena fuori dal portone.

Mi ricordo che da bambina il nonno partigiano, che mi adorava e che se n’è andato troppo presto, mi portava in giro per Barriera. Una volta abbiamo seppellito un criceto in quei prati che poi sarebbero diventati il Parco Sempione e le case che si affacciano su corso Vercelli… Per anni abbiamo riso pensando a che peso aveva addosso quel topolino!
Poi sono andata al liceo D’Azeglio ma non ho rinunciato alla militanza nella FGCI e nel PCI in quartiere, alle lotte con i Comitati di quartiere per il verde, per i servizi, per periferie vivibili. E mentre io crescevo in Barriera si sedimentavano persone arrivate da tante Italie: toscani, veneti, siciliani, pugliesi. Così tanti pugliesi da indurre il sindaco Novelli a cambiare nome a una piazza e farla diventate piazza Cerignola.

Negli anni ’80, con le neonate Circoscrizioni, ci eravamo inventati l’associazione Bariera dl’Emme che, con l’intento di recuperare la tradizionale festa di settembre del dopoguerra, metteva insieme i commercianti, le polisportive, le parrocchie, le associazioni di base. Per una ventina d’anni corso Vercelli chiuso al traffico ha ospitato concerti, spettacoli, mostre canine, bancarelle, presentazioni di libri e negozi aperti di sera e di domenica, quando non era affatto abituale! Lo stupore e la magia della prima volta del corso chiuso al traffico e restituito ai cittadini che scendevano in strada anche soltanto per passeggiare è difficilmente descrivibile: in questo video c’è un po’ di quell’atmosfera > https://youtu.be/LAI3J41D_4I.

Da più di vent’anni vivo al confine di Barriera, in Aurora, ma il mio luogo d’elezione resta questo territorio che è stato abbandonato e maltrattato dalla politica, ma che ha mantenuto uno spirito che non cambierei: alla stratificazione delle persone d’ogni parte d’Italia si sono aggiunte persone in arrivo da mezzo mondo, la scommessa di diventare Belleville purtroppo non è ancora vinta, perché se aggiungi povertà a povertà difficilmente ottieni buone cose. Tuttavia si potrebbe dire di più del Centrodonna, dell’AlmaMater, di via Baltea 3, dei Bagni di via Agliè, del Circolo Antonio Banfo e la sua prossima biblioteca popolare e del Circolo Risorgimento che c’è ancora, di un ospedale di frontiera e di eccellenza come il Giovanni Bosco, degli artigiani e dei negozi – come una libreria ostinata – che resistono, e di quegli esercizi nuovi che hanno riacceso corso Vercelli e corso Giulio Cesare. Si potrebbe dire che la mafia nigeriana qua trova la manovalanza ma ha la testa altrove, si potrebbe mandare l’esercito a fare presidio costante e non passerella, si potrebbe lavorare sulla manutenzione delle idee e delle cose, ricordando che in Barriera c’è il mare!