Barriera stories

Barriera di Milano si racconta attraverso le voci delle persone

Vitamina B(arriera)

di Isabella Martelli

 

Mi è capitato di cambiare casa più volte nella vita, ma ho sempre scelto di stare qui, in Barriera di Milano. Forse non sono mai riuscita a cambiare zona perché qui sento un’energia particolare, diversa, una vivacità e un attivismo forti, mescolati alla solidarietà.

La parola che rispecchia meglio Barriera per me è “vitamina”. Sento il fervore, la creatività, l’arte e la socievolezza delle persone che si fermano a chiacchierare in ogni dove. Qui il terreno è fertile, un po’ incolto, ma fertile. Quando si semina, qualcosa di bello cresce sempre. E poi c’è da combattere, c’è da lottare, da ricostruire, da riqualificare e a me piace questa rivalsa di rinascita. Inoltre qui ho i ricordi più belli.

Ricordo, con il sorriso, mio padre che mi controllava dal balcone quando ero adolescente. Allora si stava alle panchine, nei giardini, ore ed ore a chiacchierare. I cellulari ancora non c’erano e quando ero in ritardo lui mi chiamava dal balcone con il suo un po’ imbarazzante fischio inconfondibile. I ragazzi del quartiere, comunque, erano molto protettivi con noi ragazze, guai a chi ci dava fastidio! E noi ci sentivamo al sicuro anche se i pericoli erano tanti. 

Qui ho deciso di crescere mio figlio, che ho sempre iscritto alla scuola pubblica. Ho trovato sempre brave maestre, compagni e genitori con cui ho intrecciato percorsi di vita.

Poi il mercato di Piazza Foroni: il cuore di Barriera. Ci andavo anche al nono mese di gravidanza. Mi caricavo di buste pesanti fino a casa, ma di certo non potevo perdere questa abitudine. Tutta quella gente ti riempe il cuore: i colori, i banchi, il sole sul viso e quel rione. Lì trovi il pesce fresco, la verdura di qualità a buon prezzo e i prodotti tipici. Forse, mi ricorda un po’ le mie origini, il meridione, sento la stessa atmosfera. E poi, quando è nato mio figlio, tutte le mattine in giro per il quartiere con il passeggino, non importava se c’era il sole, la neve o la pioggia, noi uscivamo. Andavamo al bar a far colazione e poi ai giardinetti, che erano sempre pullulanti di bambini gioiosi e urlanti. Era tutto racchiuso lì quello che volevo, in quella Barriera che teneva tutti ben saldi tra di noi. Eravamo una comunità, una famiglia. Nel palazzo ci conoscevamo tutti, ci prestavamo le cose e ti venivano a bussare se per un po’ di tempo non ti vedevano o se sapevano che stavi male. Eravamo tutti un po’ in difficoltà in fondo, ognuno aveva i suoi problemi ma eravamo tutti insieme. Le barriere non erano le mura delle nostre case, ma eravamo noi stessi a costruire la Barriera, per non far penetrare le avversità. Perché insieme tutto si affronta. 

L’amore per il luogo e le persone lo rende un posto unico, anche se non splende come altri quartieri, perché ti vengono dentro il fervore e una carica immensa. Perché tu quel posto lo vuoi far risplendere di una luce raggiante. È qui che voglio stare, nella mia Barriera, una barriera fatta di persone che si tengono le mano.

Wikimedia Commons/Progetto artistico Opera Viva in piazza Bottesini