Barriera stories

Barriera di Milano si racconta attraverso le voci delle persone

Come mi ritrovai catapultato in Barriera

di Giuliano Vergnasco

 

Mi sono diplomato nel 1988, con molta calma, ma questa è un’altra storia: Perito Aziendale Corrispondente in Lingue Estere presso l’istituto Aldo Moro (ex VII° Istituto) che dall’autunno dell’anno prima era ospitato nell’edificio di via Marinuzzi davanti alle torri Di Vittorio. Fino all’anno scolastico ‘86-‘87 la sede della scuola era parte della ex fabbrica Gilardini fondata nel 1831 da Giovanni Gilardini. Qui impiantò una produzione di ombrelli in corso ponte Mosca, che prende il nome dal geniale ingegner Carlo Mosca. Fu lui a progettare il primo ponte in pietra a campata unica di Torino. Leggenda vuole che il giorno del collaudo Mosca e famiglia si misero su un barchino sotto il ponte, a dimostrazione della fiducia nel proprio lavoro.

In seguito l’azienda si dedicò anche alla produzione conciaria e nel 1847 si assicurò commesse per la fornitura di equipaggiamenti all’esercito. La crescita della produzione richiese un secondo stabilimento, che fu costruito 1876 in lungo Dora Firenze all’angolo con corso Giulio Cesare. Verso la fine dell’800 la Gilardini era uno dei maggiori opifici torinesi, occupava circa 850 operai, quasi un terzo della manodopera del settore conciario.

Nel 1955, come conseguenza della crisi perdurante del settore, la fabbrica chiuse definitivamente e in seguito l’edificio venne acquistato dalla Provincia di Torino per farne un istituto scolastico, cosa che avvenne nel 1971. La sua collocazione faceva si che il bacino d’utenza fosse vastissimo: Centro, Falchera, Pietra Alta, Barriera di Milano, Aurora e, data la vicinanza della stazione della Torino-Ceres, valli di Lanzo e Canavese. Una massa variegata e informe di ragazze e ragazzi che provenivano da famiglie e storie diverse tra loro. In quell’autunno, però, trovarono unione e coesione nei fatti che portarono il trasferimento all’estremo limitare della città. Una mattina autunnale come tante altre, improvvisamente, una parte dell’intonaco del soffitto crollò sui banchi di una classe, fortunatamente, a quell’ora deserta. Quando nel novembre 2008 un fatto analogo accadde al liceo Darwin di Rivoli, questa volta provocando la morte di Vito Scafidi e il ferimento di altri suoi compagni, la mia mente corse al 1987 e un brivido mi percorse la schiena pensando a quanto fummo fortunati.

L’ala della scuola prospiciente a corso Giulio venne chiusa in attesa di analisi e perizie e noi venimmo confinati nell’ala, chiamata ex-Morelli, che condividemmo facendo i turni mattino-pomeriggio con il liceo da Vinci. Riuscimmo a mobilitarci al grido di “vogliamo aule non parole” e insieme organizzammo una grande manifestazione che attraversò il centro, chiedendo che la Provincia ci mettesse a disposizione una struttura in cui concludere l’anno e che lavorasse per mettere in sicurezza il vecchio edificio. Ottenemmo solo il primo risultato, nonostante le rassicurazioni e l’impegno formale dell’allora Assessore all’istruzione Morgando. Fu così che quella scuola nata al crocevia di diversi quartieri divenne parte della Barriera di Milano. Infatti dopo via Marinuzzi venne spostata in via Paisiello e poi dal 1994 in via Scotellaro, dove si trova ancora oggi dopo la fusione con l’istituto Bertrand Russel, trovando la sua definitiva collocazione. Cosa rimane del vecchio edificio è, purtroppo, una sorta di giungla urbana simbolo di errori, mancata progettualità e comunicazione tra i vari enti territoriali interessati.

Io arrivavo da una piccola succursale con circa duecento studenti e mi ritrovai catapultato in questo mostro da oltre 1200 ragazzi e ragazze. Qui mi creai amicizie che durano ancora oggi: Paolo, che come me proveniva da piazza Statuto; Nadia, Lella e Anna le mie inseparabili compagne di banco; Cisco e Roby e Laura con i quali ancora oggi siamo in contatto e infine Luca, che purtroppo intraprese una strada comune a molti ragazzi di quegli anni ‘80 e ci ha lasciato troppo presto.

Quell’unico anno scolastico frequentato in Barriera mi ha insegnato molto e mi ha fatto scoprire un mondo che non conoscevo. Fino a quel momento la mia conoscenza delle periferie si limitava a ciò che leggevo sui giornali e per me, ragazzo di piazza Statuto, l’esistenza girava attorno al centro con qualche breve escursione verso il Lingotto. Io, che a scuola andavo in una decina di minuti in tram oppure in una mezz’ora a piedi, mi ritrovai a viaggiare sul 51 per 40-50 minuti (traffico permettendo).

Attorno alla scuola poco o nulla, case, casermoni, pochi negozi. Forse fu quello il momento nel quale realizzai le reali difficoltà delle persone che abitavano nelle periferie urbane, la mancanza di servizi, a volte il degrado, e l’esistenza di un mondo che era lontanissimo dal mio vissuto di ventenne. È sicuramente stato un anno formativo dal punto di vista della mia crescita, come uomo e come cittadino, nel quale ho imparato che le città sono organismi viventi e che per funzionare ed essere a misura d’uomo devono, necessariamente, trovare un equilibrio tra centro e periferia.

Wikimedia Commons/Progetto artistico Opera Viva in piazza Bottesini