Borgo Rossini stories

Il quartiere si racconta attraverso le voci delle persone

Lo chiamo “Due Passi”

di Gianfranco Azeglio

Mi sono sempre chiesto che cosa ti spinga ad amare un quartiere piuttosto che un altro in una città, questa domanda me la sono sempre posta, molti fattori concorrono alla risposta. Tra questi, uno è esserci nati, poi il campanilismo, lo sport oppure la squadra del cuore, un amore o il caso.

Proprio il caso mi ha portato a frequentare uno tra i più bei borghi storici di Torino, un quartiere soprannominato da me “due passi”. È Borgo Rossini. Chi lo conosce sa perfettamente che è un punto centrale della città, a due passi dal centro, due passi dal più grande mercato rionale, Porta Palazzo, dai Giardini reali, da piazza Castello o dal campus universitario, fino ad arrivare in piazza Vittorio e, non molto distante, anche al Cimitero monumentale. Praticamente a due passi.

Vivo a Torino e i quartieri di questa città sono veramente incantevoli, storici, misteriosi e strani, ogni luogo o angolo di questa città se vissuto può far scaturire la voglia di fantasticare, a me capita spesso ogni volta che mi accingo a girarla per lavoro, diletto o altro. Prima ancora di muovermi percorro mentalmente un tracciato immaginario che poi effettuerò a piedi, con mezzi pubblici, con l’auto oppure in bicicletta.
Guardando i palazzi, gli edifici, le piazze, le chiese e i giardini. Ogni luogo sul quale soffermo l’attenzione ha per me una storia, un ricordo bello o meno bello che sia, ma mai brutto, tale da indurmi a odiare questa città. Da qualunque parte io volgo lo sguardo, ho solo ricordi di eventi vissuti, nostalgia, ammirazione e fascino.

Quando avevo sedici anni, la voglia di vivere la gioventù e il mondo mi usciva dagli occhi, lo si capiva dall’esuberanza che a quell’età si nota nel volto di ogni giovane. In quel periodo abitavo in periferia in Barriera di Milano, in una casa con il ballatoio, quel balcone di passaggio comune a tutti gli inquilini dove una volta si condividevano le notizie dei matrimoni delle nascite delle gioie e le disgrazie. Era il quartiere povero di lavoratori operai e anche il mio amico d’infanzia Angelo abitava li quel quartiere, denominato “il dormitorio”. Le persone dividevano turni di lavoro estenuanti in fabbrica col ritorno a casa dalla famiglia per dormire, il nostro punto di ritrovo e svago era il bar sotto casa. Lì andavamo a vedere la tv o sfidare a biliardino gli altri ragazzi del quartiere, Angelo e io eravamo diventati imbattibili.

Evadere dalla monotonia quotidiana dopo la scuola era un chiodo fisso, eravamo sempre in cerca di ragazze per condividere l’amicizia e i flirt. Angelo, al contrario mio, era piuttosto controllato nello spendere la paghetta che i nostri genitori con sacrificio ci davano ogni fine settimana. Era un rito comprare le sigarette, un pacchetto da 10 di quelle americane che oggi non si trovano più. Una gazzosa al bar, andare al cinema e pagarci il viaggio sul tram di ritorno. Ci facevamo bastare la paghetta per tutta la settimana. Non avevamo il vizio del fumo, era più che altro un vezzo da esibire con movimenti posati, scimmiottando gli uomini maturi in presenza di due ragazze conosciute sul tram che ci portava a scuola.

Quelle ragazze abitavano in una elegante palazzina sul lungo Dora Firenze. Seppi in seguito che era la casa della Bella Rosina, regalatagli dal suo amante Re Vittorio Emanuele II. Insomma un bel borgo, un quartiere a due passi da noi, tutti i giorni alle tre del pomeriggio ci incamminavamo a piedi per andarle a trovare, non prendevamo mai il tram. Angelo era figlio di un tranviere e grazie a suo padre poteva viaggiare gratis, pensava ch’io non sapessi di questo suo privilegio e nascondeva la cosa per farmi risparmiare i soldi del biglietto. Mi diceva sempre: “dai, sono solo due passi da qui”.

Questo rito quotidiano era un desiderio frenetico, trascorrere alcune ore con loro seduti a chiacchierare, a sorseggiare insieme una bibita nel bar della piazzetta a esedra in affaccio sul Ponte Rossini, sulla Dora, poco distante appena due passi dalla loro abitazione. Ma la cosa che attendevamo di più era quel bacio ingenuo sulla bocca, scambiato frettolosamente sotto il loro portone di casa per la paura di essere scoperti dai loro genitori. Prima di tornare indietro nel nostro quartiere dormitorio, lì a due passi.