Borgo Rossini stories

Il quartiere si racconta attraverso le voci delle persone

Pirata da marciapiede

di Corrado Locati

Lo confesso, sono diventato un pirata della strada, anzi del marciapiede. Pur nel pieno rispetto della legge e dell’ordinanza regionale del 3 aprile 2020. Quella dei 200 metri: «…è vietata ogni attività ludica o ricreativa nonché motoria all’aria aperta, se non entro 200 metri dalla tua abitazione».
Anche se sei solo.

Ed è da solo che ogni mattina puntuale alle 11, dopo la mezz’ora di ginnastica, la doccia, la rasatura della barba e un’abbondante colazione, (preferisco tenermi in ordine in questo periodo di disordine mondiale), armato di zainetto, mascherina sul collo pronta all’uso e di regolare modulo di autodichiarazione autodichiarante la necessità di approvvigionamenti alimentari, di sigarette e di giornali (d’altronde se supermercati, tabaccai ed edicole sono aperti una ragione ci sarà), esco di casa.
Ho fatto un conto, duecento metri dalla propria abitazione, in linea d’aria significa avere una reale distanza di quattrocento metri, con un’area di movimento che si estende per una superficie quantomeno interessante.

Meta del giorno la panetteria Lentini di C.so Verona, dove sfornano una focaccia bianca meravigliosa, alta giusta, ben oliata, croccante in superficie e morbida dentro, nulla da invidiare a quella mia preferita di Spotorno, che temo per un po’ di mesi non potrò gustare.
Uscendo da casa ci potrei arrivare in un paio di minuti ma, subdolamente, opto per il giro largo.
Svolto a sinistra nel viale di via Catania, in direzione del cimitero. Ma giunto all’altezza del Comando dei Carabinieri mi fermo. Se proseguissi sarei multabile per trasgressione del decreto, poi inutile raggiungere il cimitero, inesorabilmente chiuso al pubblico. Mi chiedo il perché, visto che non esiste luogo tranquillo, di isolamento e solitudine più di quello. E non sono poi «… L’urne de’ forti, che a egregie cose il forte animo accendono…»?

Vabbè, torno sui miei passi, auspicando tra me e me che almeno le denunce per furti di borsette, portafogli, cellulari, (io ne ho fatte due in un anno!) siano drasticamente calate con la misura di almeno un metro di distanza tra il ladruncolo e la vittima.
Svolto in via Buscalioni, cammino a fianco di ex-fabbriche, ex-depositi, ex-magazzini, per lo più di marmisti, abbandonate e già o quanto prima inglobate nelle plusvalenze delle ristrutturazioni edilizie che sono dilagate a macchia d’olio nel quartiere, loft, super attici, giardini pensili a 4.000 euro al mq., imbocco via Cagliari, assecondo il muro di mattoni della Film Commission, di cui mi sono sempre chiesto il perché della totale disconnessione con il quartiere, che mi hanno detto avere anche un cinema lì dentro.

All’angolo di corso Verona incrocio il dehors abbandonato del BarTu, locale alternativo un po’ retrò, simpatico rifugio di coktails serali e di brunch domenicali. Potrei svoltare verso la Dora, ma mi rattrista passare davanti al Basaglia, dove andavo alla sera a fare ginnastica, chiuso per misteriosi motivi, ben prima del Coronavirus. Che staranno facendo ora i ragazzi disabili che lavoravano al ristorante della cooperativa?
Proseguo su via Cagliari, bypasso veloce il Pai Bikery, zero torte salate, zero camere d’aria da rattoppare, zero onlus al lavoro.
In via Pisa svolto a destra, sono ormai al limite dei 200!

Eccomi in piazzetta, nella finta vasca color finto mare e già alquanto fatiscente, una mamma in mascherina gioca con la sua bimba, che le chiede: «ma i miei amici quando vengono?».
Stanco di leggere tragiche cronache dell’altro mondo evito l’edicola di Maurizio e Barbara, ignoro il tabaccaio, dopo aver controllato di avere Bensonwhite sufficienti fino a domani (giurando a me stesso che alla fine della pandemia smetterò di fumare), getto un occhiata nostalgica ai libri esposti all’interno delle serrande chiuse del Ponte sulla Dora. Ovvio, i libri in Italia non sono un bene di prima necessità! È invece aperta la porta di La Perla, ex Gattodolcione, dispensatrice di ogni bene dolciastro utile a favorire il rialzo glicemico degli abitanti del quartiere e non solo.
Di dolciumi non sono dipendente, per cui proseguo il mio tour, direzione nord.

All’incrocio con via Parma mi concedo di allungare il percorso, sempre nel rispetto del Decreto, e la percorro fino ad imboccare il viale di corso Regio Parco.
Proprio all’angolo con Torre, dove, con questo clima quasi estivo, in altri tempi sarebbe già iniziata la pandemica distribuzione di granite.
Lungo il viale qualche cane che trascina umani con la museruola, un paio di ubriachi per cui nulla è cambiato, un papà con un bambino che gli chiede: «ma quando posso tornare a scuola?».
E mi affaccio al tram.
Quello grigio, che staziona da anni al centro della piazza senza nome. Il Progetto Diogene.
Che se non sbaglio era quel filosofo che nell’antica Grecia che di giorno andava in giro con la lanterna a cercare l’uomo.
Ma i pensatori del progetto, al di là di aver visto in anni qualche volta il tram aperto o cambiare colore, hanno mai cercato qualcuno, nel quartiere?
Me di sicuro no.

Infine, con un paio di km percorsi, giungo alla meta prevista. Sono di fronte a Lentini.
Quattro persone in coda davanti a me. Aspetto rispettando il metro di distanza.
Intanto la lunga camminata e i succhi gastrici stanno facendo il loro effetto.
Entro con la mascherina, che non mi immunizza per nulla dalla fragranza che emana dalla teglia di focaccia appena sfornata.
Ne compro quattro tranci, appena fuori apro il pacchetto, ne estraggo uno, inizio a gustarmelo con delicati morsi consequenziali.
È semplicemente divina!
Dalle papille alla mente si insinua un interrogativo di proustiana memoria: «… a quando la focaccia di Spotorno, a quando di nuovo il mare?».