Borgo Rossini stories

Il quartiere si racconta attraverso le voci delle persone

4, 30, 16 o 18, 87

di Laura Colombo e Laura Zanlungo

Questi numeri nascondono la mia piccola storia. 

4 anni fa, nel 2016, l’Ospedale Chirurgico Ortopedico Maria Adelaide di Torino è stato chiuso. Un gioiello di architettura e di sanità pubblica, nato quasi 130 anni prima, nel 1887, per curare i rachitici. Divenuto poi centro di riferimento per la cura delle deformità del rachide, inoltre specializzato per la riabilitazione dei protesizzati e per il trattamento sperimentale dei traumatizzati cranici.

I suoi lunghi corridoi, gli ampi spazi di cui era costituito, l’ampio giardino incastonato al centro, erano sempre animati e ricchi di vita. Ora, invece, pare un grigio fantasma addormentato.

Noi operatori abbiamo lottato con tutte le forze per difenderlo, cercando il dialogo prima di tutto, mostrando dati oggettivi e non solo l’attaccamento emotivo al nostro luogo di lavoro. Ma abbiamo perso, ogni nostro appello è risultato vano.

Quando abbiamo compreso che non era più il tempo delle parole, abbiamo agito, coinvolgendo tutto il quartiere che ha manifestato con noi per le vie di Borgo Rossini. Ricordo ancora, con le lacrime agli occhi, quell’onda di persone, soprattutto i bimbi e gli anziani, che urlava «Salviamo il Maria Adelaide!», per difendere un’idea di sanità vicina e attenta, e al contrario denunciare una logica miope che mette il profitto al primo posto. Abbiamo combattuto contro la svendita del nostro ospedale e la privatizzazione selvaggia dei servizi sanitari. 

Riflessioni che tornano, con forza e amarezza, in questi giorni di emergenza.

Per 30 anni vi ho lavorato. Qui ho imparato a fare la fisioterapista, ho coltivato la passione per il mio lavoro e l’incanto di accompagnare le persone a riprendere a camminare, a usare le mani, a sorridere. Conservo nel cuore un mare di storie e di sguardi di gratitudine.

Gli abitanti di Borgo Rossini venivano al Maria Adelaide anche solo per una lastra o per gli esami del sangue. All’uscita, potevano fare tappa da “Cascella” per sollevare il morale, chetando il borbottio dello stomaco digiuno con pane, pizze e ogni sorta di leccornie pugliesi. 

Arrivavo la mattina presto con il 16, tram sferragliante, o con il 18, bus sempre colmo, con i libri che avevano riempito il mio viaggio nella borsa. Scendevo alla fermata di via Santa Giulia, attraversavo corso Regina e il ponte sulla Dora con lo sguardo rivolto alle anatre in volo o sguazzanti nell’acqua. Percorrevo lungo Dora Firenze fino al numero civico 87, scortata dall’eleganza dei bagolari con il loro tronco lucido e le loro foglie minute. 

Ero sempre in anticipo per godermi il tempo di un caffè al bar dell’angolo che porta il mio nome, un simpatico covo di fedelissimi granata. Ancor oggi quando passo di lì, entro e chiedo notizie: «Ci sono novità?», come per un parente lontano e mai dimenticato. 

Di recente, qualche volta il Maria Adelaide ha riaperto i suoi cancelli, per ospitare una mostra o le riprese di un film, o ancora per accogliere i senza tetto nel freddo inverno torinese. C’è stato anche chi ha proposto di farne una sede dedicata ai malati di Covid-19. Affacciato alle acque mai ferme del fiume, anche lui attende di rinascere.