Barriera stories

Barriera di Milano si racconta attraverso le voci delle persone

La Ceat di via Leoncavallo

di Giuliana Alliaud

 

Nel 2007 la biblioteca in cui lavoro da trent’anni è stata trasferita nel rinnovato stabile di via Leoncavallo, originariamente costruito per ospitare la CEAT gomme, una delle principali industrie italiane produttrici di pneumatici del recente passato. Il mio rapporto con la CEAT, però, è iniziato molto prima, perché sin da piccola ne sentivo parlare da mia zia, che vi lavorava come impiegata. La zia è vissuta più di sessant’anni in questo angolo a nord della città e la sua storia è quella dei tanti immigrati che, dopo la Seconda guerra mondiale, sono venuti a Torino dalle campagne del Piemonte e poi da altre parti d’Italia in cerca di opportunità e qui hanno trovato casa e lavoro. A rigore la zia non ha mai abitato dentro i confini “ufficiali” di Barriera, perché prima di sposarsi abitava in via Aosta e poi in piazza Sofia. Anche la sua sede di lavoro era quella della CEAT di corso Palermo e, solo occasionalmente, veniva impegnata negli uffici di via Leoncavallo. Eppure la zia si considerava di Barriera e in Barriera aveva i suoi punti di riferimento.

Le circostanze in cui la zia fu assunta in CEAT sono uno degli aneddoti raccontati in famiglia per testimoniare il suo carattere impulsivo ma anche per esemplificare la casualità del destino e l’informalità con cui, nel dopoguerra, si determinavano talvolta i rapporti di lavoro.

Nei primi anni Cinquanta, appena diplomata ragioniera, la zia era “scesa dai monti”, aveva trovato un impiego in una piccola casa editrice e viveva in un pensionato per signorine in via San Francesco da Paola. Tutti i sabati pomeriggio, terminato il lavoro, correva in stazione e prendeva il treno per tornare in famiglia. Il lunedì mattina ripartiva con la corriera delle 6, carica di provviste e raccomandazioni materne. Un giorno, però, perse la corriera e sua mamma, che l’aveva accompagnata fino in piazza, l’aiutò a fermare l’unica automobile di passaggio, con la speranza di essere accompagnata alla stazione prima della partenza del treno. Il signore alla guida era l’amministratore delegato della CEAT, diede un passaggio alla zia sino a Torino e, durante il viaggio, scoprì che la sua passeggera era in cerca di lavoro, così le propose un colloquio per il giorno successivo. La zia arrivò puntualissima all’appuntamento, ma l’amministratore delegato l’aveva completamente dimenticato e la ricevette solo dopo diverse ore. Come prova d’ingresso alla zia fu chiesto di risolvere una moltiplicazione ma, quando lui le fece notare di aver sbagliato il calcolo, lei rispose piccata che il suo errore era comprensibile, considerata la lunga attesa e l’ansia che ne era derivata. La zia fu assunta nonostante l’errore e la risposta poco garbata o, forse, proprio per il tenore della risposta e rimase a lavorare in CEAT per venticinque anni.

Durante questi anni la città si sviluppò rapidamente. La Barriera vide nascere e crescere numerosissime attività, aumentare enormemente il numero dei suoi abitanti, innalzare palazzi in ogni spazio disponibile, sparire le vecchie cascine, costruire nuove scuole, prolungare verso la periferia le strade e le linee dei tram, avviare mercati, sorgere circoli e comitati, attivare parrocchie. In poco tempo lo stabilimento di via Leoncavallo si ampliò sino a occupare tutto l’isolato delimitato dalle attuali vie Pacini, Bioglio e Tollegno. A metà degli anni Settanta nella CEAT di Barriera erano impegnate più di 1700 maestranze. La zia, dopo lunghi calcoli e fitte consultazioni familiari, acquistò un piccolo appartamento, un monolocale che da ragazzina mi sembrava arredato con un gusto estremamente raffinato e moderno. Finito di pagare il mutuo della casa, prese la patente e acquistò da un dipendente Fiat una Cinquecento bianca, con cui ora saliva avventurosamente in montagna ogni fine settimana.

La crisi petrolifera della fine degli anni Settanta, e la nascente consapevolezza dei danni provocati dagli stabilimenti produttivi a stretto contatto con le abitazioni civili, determinò un nuovo cambiamento in Barriera: molte aziende chiusero o si trasferirono fuori città e l’Amministrazione pubblica, spesso incalzata dai comitati popolari, intraprese interventi di riqualificazione di spazi e edifici dismessi. Anche la CEAT di via Leoncavallo chiuse i battenti e la zia fu messa in prepensionamento. La pensione anticipata fece infuriare la zia che, però, poi decise di dare una svolta alla sua vita: si sposò e si trasferì in piazza Sofia.

Lì è rimasta sino al 2016, apprezzando i servizi del quartiere, la vicinanza al centro città, la comodità del mercato, la fitta rete di negozi e attività artigiane. Sovente perorava i vantaggi di Barriera presso chi ne rimarcava la cattiva fama.

I cambiamenti piacevano alla zia, che registrava con curiosità le trasformazioni della Barriera, anche l’arrivo di nuovi abitanti da Paesi lontani. I suoi ultimi vicini sono stati i componenti di una famigliola africana. In estate, con le finestre aperte, la zia ascoltava con piacere la mamma cantare per i suoi bambini in una lingua sconosciuta nell’alloggio accanto al suo.

Wikimedia Commons/Progetto artistico Opera Viva in piazza Bottesini