Un triangolo isoscele di terra e cielo

di Laura Poli

Stare a Noli anche se per un frettoloso fine settimana mi ha portato sempre grande senso di benessere. Gioire quando ci si muove non è una regola generale. Nel mio caso è assodato, faccio parte di quella tribù non stanziale che trova felicità nel momento stesso che sa di dover viaggiare, che cerca più che la persistenza la variazione, anche piccola. Non sono un’assatanata del cambiamento, ma nella quotidianità soffro se la giornata si sviluppa piatta e scontata. Ritornare a Noli, che comunque è una ripetitività, e stare bene ha cause specifiche.

La luminosità dell’aria ha la sua importanza, la passeggiata attraverso il piccolo borgo e l’approdo al mare fanno la differenza. Fatto sta che la nostra amica Maria ha sempre notato che dopo un giorno a Noli i nostri visi sono meno contratti, meno tesi.

Quindi l’elemento in più è costituito dall’ambiente piacevole, fatto a misura di piccole passeggiate, se non si ha voglia di farne di più impegnative, come la Passeggiata Dantesca, i percorsi all’altipiano delle Manie, i sentieri che portano a Varigotti o Spotorno.

Dovrei spiegare l’importanza di vivere nel colore. Capitava d’inverno che si venisse spesso a Noli, la casa appena acquistata ci attraeva come fosse un magnete. Erano due giornate di una prolungata seduta terapeutica. Si veniva da quel colore grigio-topo che si insedia a volte per giorni in città quando le centraline danno i massimi valori di smog. Ritrovarsi al sole, seduti in riva ad un mare dai colori straordinari a mordere un pezzo di focaccia è un piacere da assaporare con godimento e consapevolezza. Le spalle si raddrizzano, si può respirare di nuovo a pieni polmoni. I colori sono un elemento importante quando in città gli alberi sono ancora spogli e l’erba è secca e a Noli fioriscono le mimose. Segue poi il rosso centranthus, il violetto degli estasianti glicini, il giallo delle ginestre fino ad arrivare alle cascate di bouganville.

Ma qual è il vero segreto di Noli? E’ la sua dimensione rimasta necessariamente piccola perché è un fazzoletto di terra, anzi un imbuto stretto tra Capo Noli e il declivio ripido che scende dal castello medioevale della famiglia dei Marchesi Del Carretto. Anche se nel tempo, e soprattutto nei famosi anni ’60 pure qui si è costruito con troppa disinvoltura, la mancanza di terreno utile ha creato meno scempi che in altre località. Noli ha origini romane, nel tardo Medioevo ha vissuto l’apice del suo splendore quando riforniva i crociati di galee. Ogni nave consegnata consentiva di poter erigere una torre. Noli ne contava più di settanta, grattacieli dell’antichità, simboli di potere, di ricchezza.

Noli trasuda da ogni pietra questa storia gloriosa, fatta di alacrità, di conquiste operose che le sono valse il titolo di quinta Repubblica marinara. Noli aveva anche uomini abili nelle armi e nel navigare – Anton da Noli, scopritore delle Isole di Capo Verde ne è un esempio illustre – e la sua fama richiamava artisti e studiosi, tra cui Dante e Giordano Bruno.

I nolesi sono giustamente fieri della indipendenza di comune libero non frutto di guerre fratricide ma risultato delle capacità dei suoi calafati, dei cantieri navali che avevano permesso di acquistare con denaro sonante la libertà da un signore esoso.

Si può non sapere puntualmente la storia antica di Noli, ma le sue pietre ne parlano, spiegano i passaggi epocali, nell’aria si percepiscono presenze antiche. I bugnati di pietra verde d’ardesia, base delle case torri, sono il segno tangibile di una volontà di inviolabilità che va rispettata.

La regolarità delle insulae di epoca romana è movimentata da una strada sinuosa che attraversa la cittadina. L’occhio vede tutto questo: colli ricoperti da verdi ulivi, profilo del castello solo accennato attorno al Maschio, tracce di mura, torri emergenti. E la mente ricorda quel che ha appena lasciato alle spalle: l’intenso azzurro del mare, la spiaggia con le barche dei pescatori, forse una delle poche flottiglie rimaste in Liguria, la dolce ansa del golfo. L’olfatto nel frattempo è impegnato a riconoscere i semplici profumi di focaccia, di preparazione dei soffritti e quelli di squisite paste di mandorla.

Quando entro nella cerchia di mura vivo un effetto di straniamento dal presente. Mi immergo in un passato che trasmette la ricerca della bellezza, dell’armonia, della libertà. Noli è suggestiva, pittorica, smuove la fantasia, fa entrare in empatia con ciò che rappresenta: una cittadina viva e vivace anche nell’oggi.

Perché Noli? Perché Giuliano Ottaviani, perché Cesare Ravasio approdano a Noli? Uso le parole di Ravasio, scritte a sintesi di un suo quadro “Noli: il regno del profondo incanto e delle mille meraviglie”.

Noli ha un che di magnetico, nell’incompletezza delle sue vestigia, nella ortogonalità di torri e mare, nel dispiegarsi delle ali di un gabbiano, nel riferimento tra un alto – Voze, il monte Ursino – e un basso, nei suoi colori, nel suo parlare di passati stratificati.