Barriera stories

Barriera di Milano si racconta attraverso le voci delle persone

Il rigore della vita al campetto di don Martano 

di Numinato Licari

 

Primavera 1985. È una domenica come tante, il mio amato Toro vince a Verona con la squadra che, di lì a poco, avrebbe vinto un incredibile campionato. Ma un’altra partita è sulla bocca di tanti ragazzini di Barriera: c’è la finale del torneo “Pizza&Coca” al campetto di don Martano, con tanto di premiazione con le medaglie. Non un vero campo di calcio, più una palestra di vita, dove sassi aguzzi, polvere, terra e qualche ciuffo d’erba sulle fasce, mettono alla prova generazioni di campioncini di Barriera. È incastonato tra la bocciofila anziani e l’oratorio femminile, che fornisce sempre un pubblico d’eccezione. 

Due muri non troppo alti tentano, invano, la dispersione dei palloni tra via Boito e il cortile interno delle case di via Brandizzo, dove qualche massaia indaffarata si affaccia alla finestra con l’immancabile grugno di chi, se potesse, bucherebbe i palloni all’istante.

Le squadre vedono confrontarsi il gotha del calcio delle elementari della zona: i nostri eroi, tutti scolari della scuola Perotti, dovranno confrontarsi con i vari Pipoli, La Porta, Colucci, Valenti, Viviani che già solcano i campi delle blasonate Vanchiglia e Barcanova. 

Il ritrovo, dopo pranzo, è davanti alla sala giochi dell’oratorio, dove tre gradini danno accesso ad un mondo parallelo: si deve superare dapprima un’officina a cielo aperto, poi fare uno slalom gigante tra tavolini con scacchiere disegnate sopra, calcetti, ping pong e un girello come quello dei giardinetti (giuro, c’era veramente!) per giungere infine al fondo della sala, che fungeva da spogliatoio. Due file di armadi di ferro, risalenti probabilmente alla Seconda guerra mondiale, facevano da cornice ad una serie di panche e sedie, delimitate da una dozzina di rubinetti d’acqua incastonati nella parete finale.

Le maglie vengono consegnate dal Don, ai nostri avversari toccano gialloblu, come il Verona primo in classifica in serie A e che annovera come portiere Claudio Garella, cresciuto proprio nei cortili del “Michele Rua”. E’ il nostro turno, don Martano con la forza di un solo braccio spalanca la porta dell’armadio e subito cala il silenzio: ci toccano le maglie bianconere! 

Sgomento e smarrimento, la quasi totalità della squadra tifa Toro, urge una soluzione immediata, non si puo’ rinunciare alla maglia, ma bisogna trovare un nome diverso per la squadra. Dal conciliabolo dei granata esce forte la voce di Michele: “ci chiameremo Ggiuventus, con due G al posto della lettera iniziale, visto che siamo di Barriera!”

Risate fragorose e sorrisi di approvazione fanno da sfondo alla distribuzione delle maglie con numeri spaiati ed ovviamente è battaglia per accapararsi quelli dal 7 al 11, mentre nessuno vuole indossare la 2, che di solito è il primo giocatore ad essere sostituito, per le regole non scritte del calcio oratoriano. 

Foto di rito, nel campo grande, con l’arbitro dell’incontro, l’onnipresente sig. Mauro Silipigni e con l’altro totem dei salesiani, il mitico Don Virgilio. In fila indiana attraversiamo via Paisiello per recarci nel nostro piccolo, grande Maracanarua. 

La partita ha inizio in una tempesta di sabbia polverosa e gli schemi stabiliti a tavolino saltano dopo neanche trenta secondi, vige la regola dei cortili: si prende la palla e si prova a scartare tutti. 

Una serie di mischie stile rugby e colpi proibiti simil wrestling inchiodano il risultato sullo 0 a 0, mentre il tempo (felice) trascorre veloce in un pomeriggio primaverile di tanti anni fa. 

Siamo agli sgoccioli dell’incontro, Don Martano fa cenno all’arbitro di concludere, incombe la preghiera pomeridiana nel cortile dell’oratorio e nessuno puo’ mancare. 

Alfredo fa un lancio dalla trequarti e la palla giunge, in aerea, a Dario, detto “Banana Joe” per i suoi tiri non proprio precisi. Fallo del difensore, fischio dell’arbitro e… rigoreee, rigoreee per noi, rigore per la Ggiuventus (certe cose non cambiano mai eh eh eh)! 

Tutti si scagliano sul pallone: “batto io”, “no io”, “tu hai già battuto la punizione”, “io non ho ancora toccato palla”. Si passa dal polverone alla polveriera in un attimo, ma in soccorso dei baby litiganti interviene l’arbitro che ricorda la regola più importante del calcio di periferia: “batte il rigore, chi lo ha subito!”. 

Gli occhi increduli piombano tutti addosso a Dario. “Proprio lui che tira storto? A banana?”. La sentenza è stata emessa, la partita si concluderà col rigore, lo batte il lungagnone svirgolato della squadra.

I vecchi alla bocciofila fumano nervosamente, le bambine in religioso silenzio sono schierate dietro la porta, protette dall’inferriata del cortile. L’arbitro fischia, Dario parte con la rincorsa, calcia forte, la palla prende la consueta traiettora a banana, si dirige verso l’incrocio dei pali e…”

“Gooolll! Gooollll!” 

“Papà! Papà! Papaaa svegliati! Stai sognando!”

La voce di mio figlio Dante mi desta dal sonno incantato.

Ancora oggi, come allora, sogno quella partita e quel rigore finale, ma più dei sogni porto con me il ricordo di una amicizia spensierata e di interminabili partite in un campo pieno di pietre, ma che ai miei occhi erano sempre e solo diamanti grezzi di felicità.

Wikimedia Commons/Progetto artistico Opera Viva in piazza Bottesini

Nella foto in alto da sinistra: arbitro Silipigni Mauro, Pellegrino Pierpaolo, Potenza Michele, Licari Dario, Riva Fulvio, Iannarelli Emanuele, Don Virgilio.
Seduti da sinistra: Rossetti Fabrizio, Di Palo Davide, Pirolli Alfredo, Di Palo Daniele, Potenza Michelino, Collalto Edoardo.

Wikimedia Commons/Progetto artistico Opera Viva in piazza Bottesini
Wikimedia Commons/Progetto artistico Opera Viva in piazza Bottesini