Se si fosse chiamato Rocho Pinto, sarebbe stato l’instancabile mediano della nazionale colombiana. Inesauribile intercettatore di palloni e caviglie avversarie. E buttarlo a terra o fermarlo con le buone sarebbe stata un’impresa impossibile.

Se si fosse chiamato Rocho Pinto, forse lo avrebbero sparato dopo il rigore sbagliato in una semifinale del campionato del mondo ancora da giocare. O magari accoltellato in una rissa per strada in cui era intervenuto per difendere un senzatetto maltrattato.

Invece si chiama Rocco Pinto e viene da Rapone, un paesino sperduto tra le montagne della Basilicata. Ma Rocco Pinto intercetta libri e lettori con la stessa foga del mediano colombiano. Inventa eventi, situazioni, incontri, letture, manifestazioni, nella speranza illusoria di moltiplicare anche i lettori.

Illusoria speranza, certo. Però Steinbeck scrisse “Credo di aver capito. Tu vuoi la luna per bere in essa come in una coppa d’oro; e così è molto probabile che tu divenga un grand’uomo… se saprai restare un fanciullino. Tutti i grandi del mondo sono stati fanciullini che volevano la luna; correvano, s’arrampicavano, e talvolta riuscivano ad acchiappare una lucciola. Ma se si diventa grandi e ci si fa una mente da uomo, questa mente non può non vedere che la luna è irraggiungibile… e così non si prende neppure la lucciola”.

La sua libreria indipendente, Ponte sulla Dora, si trova a Borgo Aurora, venti metri dal fiume Dora, a metà strada tra il centro e la periferia.

Oggi tre maggio io sono l’ospite atteso, quello che viene dal sud. C’è un sole caldo quasi estivo, che mi piace immaginare in mio onore.

Rocco mi viene a prendere alla stazione con Valeria, un’appassionata aspirante libraia pugliese, venuta a Torino per uno stage con Rocco.

Nella libreria sono stipate una trentina di persone e, cosa non troppo frequente, ci sono tanti giovani. C’è anche un’altra Valeria, della libreria di Torre di Abele, che tante volte mi ha ospitato in passato. Purtroppo non c’è Massimo, sempre di Torre di Abele, che declama a memoria intere pagine de Lu campo di girasoli.

Tutti mi ascoltano in silenzio, mentre leggo brani dai miei libri. “Ma le sue storie sono tutte drammatiche e terribili?” mi chiede dopo venti minuti di paziente attenzione un signore dalla faccia simpatica. “Spesso, ma non

sempre”. Perchè un pizzico d’ironia meridionale non manca mai. Un tocco di quella magica leggerezza calviniana, che qualche rara volta riesco a trasformare in profondità.

Dopo le letture si parla del libro nuovo, L’altra madre. A Rocchina è di certo piaciuto. Se l’è letto due volte in pochi giorni e ci ha trovato pure un refuso. Brava Rocchina.

Ed è piaciuto anche ad Annamaria Coppola, napoletana, che ne ha scritto un gran bene.

Poi andiamo a mangiare un boccone al Bardotto, il ristorantino semplice e accogliente di Deborah, con annessa libreria. Leggo ancora un racconto, un inedito ambientato in un ristorante. E stavolta si ride, senza ritegno.

A cena siamo in tanti. Tutti con la voglia di lanciare ponti verso immaginari futuri.

Come Serena Gaudino, che ha scritto un delizioso libro, Antigone a Scampia, in cui racconta l’inaspettata meraviglia di un laboratorio teatrale tenuto appunto a Scampia con donne del posto. Un’esperienza e un libro folgoranti.

O come un’insegnante delle primarie che ai suoi bambini adolescenti, di periferia anche loro, fa scrivere racconti, così da tirare fuori emozioni e paure per trasformarle in nuove possibilità.

C’è anche Giovanni, il proprietario de La casa di Arturo, il B&B dove dormo. Lettore curioso ed amante del cinema.

E sono tanti ancora quelli con cui chiacchiero. Pieni di entusiasmo, speranze, voglia di costruire qualcosa di bello.

Mi porto dietro emozioni e ricordi e speranze.

Grazie a tutti amici, spero di ritrovarvi presto e spero soprattutto di ritrovare il grande Massimo.

E grazie a te Rocco, disponibile e generoso come sempre.

Andrej L.