Lo devo a nonno Giulio

di Giulio Brusasco

Nella primavera del 1950 io sono solo un bimbetto di poco più di tre anni e vivo a Torino con i miei genitori e i nonni paterni – Giulio e Maria – in uno spazioso appartamento che si affaccia su una delle più belle piazze storiche della città.

Mio padre lavora in ambito commerciale, la nonna, casalinga, arrotonda con lavori di cucito e il nonno ha appena lasciato il servizio di “civic” (vigile urbano) durante il quale – girando per Torino – annotava case e alloggi in vendita (così da aver fatto per anni anche il mediatore). Economicamente la famiglia dunque sta bene, ma il nonno lamenta una leggera asma e il  medico lo consiglia di “andare al mare”.

Ed eccolo alla stazione di Porta Nuova. Non sa di preciso dove andare, ma pensa a un luogo non troppo lontano e comodo da raggiungere in treno. È in coda alla biglietteria, incerto sulla meta, quando il signore che lo precede chiede “un biglietto per Noli” e aggiunge: “vado al mare”.

Il nonno interpreta questo come un segno del destino e  “uno anche per me” dice a sua volta.

E dunque da allora io ho la possibilità di conoscere il mare. Nei primi anni Cinquanta, il boom economico ancor lontano, non esisteva turismo di massa, ci si spostava con treni o bus e l’automobile era un privilegio per pochi. Il nonno fu  uno dei primi villeggianti, così venivano chiamati dai locali quei pochi forestieri, benestanti che soggiornavano qualche settimana o qualche mese in paese.

Per due o tre anni prese in affitto un paio di stanze da Ario (il barbiere) o da Baciccia (il pescatore), ma poi, rimasto prematuramente vedovo, comprò un alloggio grande, nei pressi della farmacia, con il tetto distrutto dall’unica bomba caduta in paese negli anni Quaranta. Sopraelevò subito la nuova proprietà di un metro e mezzo con la “scusa” di dover rifare il tetto, ricavandone in tal modo l’attuale terrazzo con splendida vista a 360° tutto attorno, e con sotto una camera in più. Propose ai vicini una discreta sommetta come compensazione, e siccome le palanche a Noli son sempre state importanti e aprono molte porte – come dovunque del resto, ma direi qui particolarmente – si stabilirono fin da subito buoni rapporti di vicinato.

Nel 1955 mio padre comprò (di terza mano) la sua prima auto – una Aprilia nera – e al mare da allora si cominciò ad andare con regolarità, a Pasqua e in agosto, a trovare il nonno Giulio, che si era stabilito definitivamente nella nuova casa, insieme al primo dei cagnolini da compagnia della dinastia  dei “Flick” (a Flick I, seguirono Flick II e Flick III). Il viaggio in auto allora durava ben cinque ore e si faceva in comitiva – con regolari vomitate di bimbi sulle curve del Montezemolo – perché anche i due più cari amici di mio padre avevano deciso di trascorrere tutti assieme le ferie a Noli, in appartamenti che oggi ospitano figli e nipoti.

Tutto ciò originato da un biglietto del treno nel 1950!

Alla spiaggia andavamo tutti ai “Bagni Vittoria”, con tre ombrelloni in prima fila accostati. A bordo mare vi era “il trampolino”, di legno, due ruote in mare, che consentiva ai più ardimentosi di dar prova di coraggio esibendosi in grandi tuffi, per impressionare le ragazze della spiaggia. Noi bimbi  nuotavamo vicino alle ruote, o all’interno delle corde.

Alla sera si prendeva magari il “Tramballero”, una carrozza trainata da due cavalli, scampanellante e variopinta come un carretto siciliano, in grado di trasportare una dozzina di passeggeri, che faceva la spola tra Noli e Spotorno. Qui noi bimbi venivamo portati “al cine”. Ricordo le risate per i cartoni animati di Disney, con Paperino che non ne combinava mai una giusta, o con Crick e Crock. Al ritorno, poteva anche capitare il regalo finale di un piccolo cono gelato, preso al bar Roma o da Sirito, con spesa di 20 o 30 lire.

In rare occasioni, se eravamo stati  particolarmente buoni, 50.

Dal Tramballero, oppure dalle passeggiate serali in riva al mare, si godeva lo spettacolo delle lampare. Una dozzina di gozzi liguri, con a poppa una grossa lampada a gas, sostavano in mare  fino alle prime luci del mattino a circa due chilometri dalla costa. Le lampare  proiettavano un intenso fascio di luce verso il fondale per attirare i pesci nelle reti,  in prevalenza sardine e bughe.

Guardavo quei puntini luminosi persi nel buio del mare e invidiavo quei pescatori che facevano un lavoro che a me, bimbo, pareva una grande avventura.