Una volta c’era il catrame

di Giuseppe Gattino

 

Mio figlio Giulio quest’anno compie dieci anni. L’età della mia ultima estate a Noli. Era il 1979 e in quell’Italia, provata dal terrorismo e dall’inflazione a doppia cifra, la Liguria era una certezza per i tanti torinesi che ancora non avevano conosciuto mari più lontani. Per noi bambini degli anni settanta, Noli era semplicemente il mare. Che voleva dire cabine (ma non dicevano anche gabine?), sdraio, ombrelloni, creme solari (si usavano quelle abbronzanti, perché a proteggersi ci pensavano in pochi), e poi biglie da far correre su piste fatte con il pallone o tirando per i piedi qualche amico leggero. Tutte cose dalle quali mio padre, comprensibilmente, decise di fuggire per raggiungere spiagge bianche e incontaminate, raggiungibili senza passare dalla Torino Savona.

Anche se nei suoi primi dieci anni Giulio ha visto molti altri mari, quello di Noli, per lui, non è meno bello e limpido di quello greco o pugliese. Forse esagera, ma nemmeno tanto. Perché oggi i colori e le trasparenze sono sorprendenti. Di certo non era così nel 1979, quando le acque liguri, tutte non sono quelle di Noli, lasciavano pesanti tracce scure sul corpo di noi bambini. Non bastava la doccia, dopo il bagno: ci voleva l’acqua ragia per togliersi il catrame di dosso. Era un rito collettivo, in spiaggia o a casa era obbligatorio strofinarsi la pelle con lo straccio quasi tutte le sere.

Solo pochi giorni fa ho scoperto che il catrame non è sparito per magia, ma perché la tecnologia di costruzione delle petroliere permette di non scaricare in mare il residuo del carico trasportato. E infatti ricordo che per noi il passaggio delle petroliere era sinonimo di mare sporco in arrivo.
A rovinare la nostra voglia di bagni in mare non era solo il catrame. Nel mare di Noli trovavi di tutto. E viene da sorridere pensando alla barca che compariva in prossimità della riva con qualche pescatore di buona volontà che gettava le reti per cercare di portare via rifiuti di ogni tipo. Sulla fiancata del gozzo c’era scritto “mare pulito” (se li avesse visti Bersani ci avrebbe ricavato una delle sue metafore).
Forse, proprio grazie al mare non sempre limpido la Noli degli anni Settanta era costretta a inventare modi diversi di intrattenere i suoi ospiti. Come le Nolesiadi: le olimpiadi dei bagni, con gare di corsa, tornei di calcio, di tennis, e grandi partite di pallanuoto nella mitica piscina dei Nirvana. Però, e questo Giulio fa davvero fatica a immaginarselo, ricordo anche tante giornate noiose: mare brutto, ombrellone, compiti. Non c’era il calcio con le amichevoli estive, c’era il juke box al bar, con Battisti e Venditti. E la sera c’era il cinema: tre sale, di cui una all’aperto.

Dal 1979, per molti anni, Noli per me fu solo un ricordo. Un ricordo dolce: per i gelati del Sirito e per la libertà così precocemente conquistata. Perché fin da piccoli si girava da soli per strada un po’ a tutte le ore. Ma per un sacco di tempo le destinazioni estive furono altre e Noli divenne un posto lontano, non solo nel tempo.

E invece, senza molto preavviso, nell’estate del 2002 mi ritrovai in un appartamento di via Colombo che sembrava uscito da un album fotografico della mia infanzia: stessi arredi e stessa Maria la bagnina a gestire l’affitto. Stava per nascere la sorella maggiore di Giulio, Emilia, e mia moglie decise che era il caso di non allontanarsi troppo. Allora mi sembrò di ricominciare un libro già letto: prima solo con Emilia, poi con il fratello Giovanni, e infine con Giulio. Sabbia, maschere e ciabatte, sassi da portare a casa, lunghe pause allo scivolo, passeggini da spingere, giri di giostra e tuffi dalla boa. Lunghi bagni, in un mare che è sempre lo stesso, ma senza catrame.